Ho ancora dinanzi sullo scrittoio, la vostra lettera, ed
ho conservato, fra le cose buone, l’altra, la prima. Di voi so
che avete gli occhi neri, so che avete i capelli neri e mi
siete ignota nel resto, e rimarrete tale sempre, forse. Il nero
negli occhi vuol dire il fuoco nel cuore, il nero dei capelli
vuol dire il fuoco nel sangue, vuol dire la passione forte,
perciò vi dite stanca di questo mondo vuoto e meschino, e
vi dite anelante alla quiete solenne dei grandi boschi e delle
grandi solitudini, ed alle passioni dei cuori forti e rudi nei
loro impeti: perciò sentite tutto il fascino del selvaggio e
tutto il fantasioso della mia Sila fino a comprenderne il
bandito. Onde volendo scrivere di essa, voglio parlare a
voi che non conosco né nel nome né nella figura, ma che
conosco nel cuore e nella passione. Così, dopo due mesi,
appago un vostro desiderio non obbliato chè il cuore di
noi fantasiosi non oblia anche quando la parola tace: un
pensiero cortese, anche quando ci vien da un’ignota, accende
una fiammella che va guizzando lieta quanto più ci sentiamo
sfiduciati e tristi, chè in quel pensiero indoviniamo un cuore
e in quel cuore una bontà, e nel cuore e nella bontà un
compenso elettissimo al nostro quotidiano lavoro.
Si, è vero, la Sila è la Calabria: ne ho scritto, altra volta,
della passione, della leggenda, del dramma, vario, ampio,
ma unico, il dramma di una lotta secolare tra il debole ed il
forte, che è poi la storia della umanità secondo la concepiva
Niccolo Macchiavelli. La Sila è un mondo a parte, una
contrada a parte, inesplorata, anche oggi, come una foresta
d’Africa, misteriosa anche oggi, come una grande prateria
d’America. Ha bellezze di paesaggi quali non vanta la
Svizzera, ed è rude, selvaggia, aspra come una giogaia della
Scozia. Quantunque non abbia avuto un Walter Scott per
renderla nota, è nota ovunque per il fantasioso ed il solenne
che destano un fascino nei cuori, sdegnosi delle frollezze.
Nei sogni dei venti anni come i vostri, o forte creatura,
essa si intravede popolata di banditi che all’ombra delle
querce immani e dei pini giganti lottano, amano, uccidono
o cadono uccisi, e i cuori fatti pel romanzo fantasticano in
essi i Carlo Moore, gli Ernani, i Robin Hood della poesia, i
banditi del dramma, che l’Arte esalta e la Legge manderebbe
alle forche, perocchè spesso l’arte va più addentro,
nei cuori che la legge. Le foreste fosche ove la notte urla il
lupo; i monti nevosi che adergono al cielo le cime ove lo
sparviero ha il nido; le caverne profonde ove le vergini
rapite udirono parole d’amore frammiste alle bestemmie e
scoppii di baci frammisti a gemiti di dolore, e videro
lampeggiar d’occhi accesi di passione e lampeggiar di
pugnali alzati per ferire; le valli profonde ove la fantasia
popolare ha visto vagare nei tramonti malinconici le fate
bianche e gli spiriti dei dannati che vanno errando intorno
le croci elevate nei luoghi, e son molti i luoghi che han
croci, ove lasciarono solo la carne uccisa da un colpo di
scure o di fucile: tutto ciò fa parte della grande leggenda
silana che si frastaglia in cento racconti, i quali hanno per
eroe il bandito, e per passione un odio od un amore. |