Nei pomeriggi estivi e, soprattutto, nelle lunghe serate invernali, le nostre vecchie erano impegnate in uno dei compiti loro riservati.
La filatura della lana di pecora.
Un tempo, la filatura veniva praticata con la rocca e il fuso. La lana prima veniva cardata facendola passare e ripassare tra due assi di legno contrapposti, dai quali fuoriuscivano lunghi chiodi. Più tardi la filatura veniva fatta con apposite macchine a pedale, nelle quali il fuso era sostituito dalla spola.
La lana filata veniva poi raccolta in matasse, lavata in acqua calda, quindi usata per fare calze, maglioni, maglie, scialli ecc. Il lavoro durante l’inverno, veniva svolto nelle stalle, dove la gente era solita trascorrere la serata al caldo delle mucche.
Di seguito si riporta una nota filastrocca popolare sulla filatrice scansafatiche:
Luni, luniai
Marti e mercuri nun filai
Lu juovi perditti lu fusu
Lu vennari lu truvai
Lu Sabatu mi pettinai la testa ca a duminica era festa.
Traduzione:
Lunedi lo passai
Martedi e mercoledi non ho filato
Giovedi ho perso il fuso
Venerdì lo ritrovai
Il sabato mi pettinai la testa poichè la domenica è di festa